Ettore Majorana
Geniale fisico teorico, partecipò per alcuni anni all'attività del gruppo di Fermi di via Panisperna, scomparse misteriosamente nel marzo del 1938.
"Da lontano appariva smilzo, con un'andatura incerta; da vicino si notavano i capelli nerissimi, la carnagione scura, le gote lievemente scavate, gli occhi nerissimi e scintillanti: nell'insieme l'aspetto di un saraceno". Questa la prima immagine di Ettore Majorana, nato nel 1906, nei ricordi dell'amico Edoardo Amaldi, quando Ettore fece il suo primo ingresso al Regio Istituto di Fisica di via Panisperna a Roma. Lo accompagnava l'amico comune Emilio Segré.
Era il 1927 e i tre avevano frequentato la facoltà di Ingegneria, poi Segré e Amaldi erano passati al corso di laurea in Fisica, influenzati dal direttore dell'Istituto Orso Mario Corbino,che insegnava fisica ai futuri ingegneri, e dalla fama del grande Enrico Fermi, venuto a insegnare a Roma fisica teorica. Con l'obiettivo di rilanciare il suo Istituto e la stessa fisica italiana, il brillante e potente direttore Corbino aveva istituito un concorso per la cattedra di fisica teorica, il primo in Italia. Corbino era sicuro che un genio fenomenologico universale della grandezza di Fermi avrebbe creato una valida scuola di fisica, e gli aveva affiancato un ottimo fisico sperimentale: l'amico e coetaneo Franco Rasetti. Corbino aveva poi rivolto un appello durante una lezione agli studenti più dotati e volenterosi, affinché cogliessero l'occasione irripetibile di studiare con Fermi e passassero al corso di laurea in fisica.
Se la fama di Fermi deve aver incuriosito Majorana, tanto da convincerlo che la fisica meglio dell'ingegneria si confaceva alla sua struttura mentale tipica del matematico o del fisico teorico, anche la fama di Majorana deve aver incuriosito Fermi. Segré raccontava spesso al maestro-amico Fermi le meraviglie di questo ragazzo catanese, capace di calcolare a mente (fin da bambino) operazioni aritmetiche complesse, come radici o moltiplicazioni a più cifre. Da grande poi, una volta ampliate le sue conoscenze matematiche, Majorana aveva perfezionato la sua abilità nel calcolo mentale riuscendo a dare il risultato, semplificato e senza tutti i passaggi, di equazioni, limiti, integrali calcolati a memoria o su un foglietto con pochissimi passaggi.
Fermi poté subito toccare con mano la complessa personalità di Majorana: quel primo giorno in istituto lo aveva conosciuto e lo aveca subito reso partecipe delle attività in corso illustrandogli il modello statistico che stava elaborando in quei giorni (oggi noto come "modello di Thomas-Fermi"). Majorana si ripresentò il giorno dopo nello studio di Fermi con un foglietto e gli chiese la tabella numerica con la soluzione. Ettore aveva risolto a mano e in un giorno l'equazione che Fermi stava studiando con una rudimentale calcolatrice da settimane. Ma il suo atteggiamento non era quello dello studente alle prese con un problema nuovo e che vuole mostrare i risultati al maestro, piuttosto Majorana voleva verificare la correttezza dei calcoli di Fermi, visto che dei suoi era assolutamente certo. Segré racconta che quando vide che la tabella di Fermi andava bene, Ettore "non poté nascondere la meraviglia".
Una delle tante contraddizioni che rendono interessante la personalità di Majorana era la capacità di affiancare una timidezza e un pessimismo a volte estremi a una sfacciataggine che poteva sembrare esibizionismo, ma che era spesso solo una manifestazione del suo pungente spirito critico. Il tentativo di cogliere Fermi in errore non era il primo del genere: Ettore aveva vinto la timidezza già in altre occasioni con scontri verbali sempre molto caustici da parte sua nei confronti dei professori a Ingegneria. Caratteristico a questo proposito l'aneddoto raccontato da Segrè secondo cui Ettore avrebbe finito una dimostrazione di Analisi Matematica che l'illustre professor Severi non riusciva a sbrogliare, spinto dai compagni e chiamato alla lavagna dallo stesso sconsolato Severi.
Entrato ufficialmente all'Istituto, Ettore prese la laurea pochi anni dopo con Fermi svolgendo una tesi sulla meccanica dei nuclei radioattivi (110 con lode, naturalmente) e continuò a frequentarlo più o meno regolarmente fino al 1933. Del suo carattere chiuso e difficile c'erano però poche tracce quando Majorana si ritrovava insieme ai suoi compagni nei pomeriggi a Villa Borghese o al caffè Faraglino a Roma. Con loro (tra cui il fratello Luciano, il fisico Giovannino Gentile, Edoardo Amaldi, i figli dei grandi matematici Vito Volterra e Federigo Enriques) lontano dalla fisica e dai calcoli, Ettore sfoggiava la stessa ironia e lo stesso spirito critico che gli era valso a via Panisperna il nomignolo di "Grande Inquisitore". Ma anche allegria, spirito goliardico e una cultura vasta anche in ambito filosofico-letterario (Schopenhauer e Pirandello tra i suoi autori preferiti). Il Majorana cupo e solitario rimasto nell'immaginario di molti, sarebbe venuto dopo il 1933 quando, di ritorno da un periodo di studio in Germania, cominciò a isolarsi più del solito studiando per conto suo a casa, con poca cura persino per la sua persona, come ricorda Amaldi: "Qualcuno gli mandò a casa, nonostante le sue proteste, un barbiere. Nessuno di noi riusì però mai a sapere se facesse ancora della ricerca in fisica teorica".
Fin da quel primo giorno in "Vaticano" citato da Amaldi, Majorana visse il rapporto con il "Papa" Fermi e con il "Cardinale Vicario" Rasetti in modo diverso dagli altri "ragazzi di via Panisperna". Con l'attività sperimentale di Rasetti, Majorana non interagiva affatto, essendo egli l'unico vero teorico puro del gruppo. L'infallibile Fermi era l'"oracolo" (questo soprannome gli sarebbe stato affibbiato in realtà a Los Alamos) per Segré, Amaldi, Bruno Pontecorvo e per chiunque in quegli anni ebbe la fortuna di studiare con Fermi. Ma non per Majorana. Ettore partecipava ai seminari informali nello studio di Fermi, dove i ragazzi imparavano veramente a fare fisica e si diffondeva la nuova meccanica di Schroedinger, Heisenberg e Dirac. Ma era chiaro dall'acutezza delle sue osservazioni e delle sue critiche che egli era in realtà l'unico del gruppo in grado di stare alla pari con Fermi.
Naturalmente, non solo poteva competere con Fermi in fisica teorica, ma poteva batterlo senza difficoltà in matematica. Spesso i due si divertivano a sfidarsi in delle vere e proprie gare di calcolo. Ettore voltato verso il muro trovava la soluzione di un esercizio, a mano su un pezzo di carta. Fermi riempiva lavagne di formule e si aiutava col regolo calcolatore. Non bisogna dimenticare che anche Fermi era stato un ragazzo prodigio, anzi, lo era ancora, considerato che aveva poco più di venticinque anni.
Queste gare di calcolo erano una delle tante manifestazioni di quell'atteggiamento di sfida e di competizione, piuttosto che di cooperazione, che Majorana aveva nei confronti di Fermi. Un atteggiamento che non facilitò il suo completo inserimento nel gruppo. Fermi, dal canto suo, era invece entusiasta di Ettore. Con queste parole, citate a memoria da Giuseppe Cocconi, Fermi poneva Majorana fuori da ogni confronto con gli altri: "al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango, che fan del loro meglio ma non vanno molto lontano. C'è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di grande importanza, fondamentali per lo siluppo della scienza. Ma poi ci sono i geni, come Galileo e Newton. Ebbene, Ettore era uno di quelli. Majorana aveva quel che nessun altro al mondo ha. Sfortunatamente gli mancava quel che è invece comune trovare negli altri uomini: il semplice buon senso".
Molti sono gli esempi di questa presunta mancanza di buon senso. Spesso Majorana aveva delle lungimiranti intuizioni che buttava giù su dei foglietti o faceva dei calcoli su dei pacchetti di sigarette che poi buttava via, suscitando un certo sconcerto nei suoi compagni, che invece avrebbero custodito gelosamente quei calcoli per lavorarci con calma, magari mostrandoli a Fermi. Majorana poteva addirittura rifiutare di pubblicare un'intera teoria, nonostante i consigli di Fermi che spingeva sempre a sorvolare sui dettagli matematici e sulla completezza, che sarebbe venuta certamente in seguito. Majorana era troppo intelligente e ferrato in fisica per non potersi fidare del proverbiale intuito fisico di Fermi (nonché del proprio). Eppure una volta, a proposito di una sua teoria del nucleo (pubblicata poi indipendente da Heisenberg), rifiutò di renderla nota, se non attribuendola a un ignaro professore di elettrotecnica. L'avrebbe pubblicata in seguito dopo le insistenze di Heisenberg.
Ma forse l'esigenza di completezza formale e di rigore matematico erano solo un pretesto a cui Ettore si aggrappava per giustificare una sorta di autolesionismo scientifico. Leonardo Sciascia, autore del celebre saggio La scomparsa di Majorana (Einaudi, 1975) sostiene questo concetto con la felice metafora di Ettore che "portava la scienza" ovvero "tra il gruppo dei «ragazzi di via Panisperna» e lui, c'era una differenza profonda: che Fermi e «i ragazzi» cercavano, mentre lui semplicemente trovava. Per quelli la scienza era un fatto di volontà, per lui di natura. Quelli l'amavano, volevano raggiungerla e possederla; Majorana, forse senza amarla, «la portava»".
Nonostante si divertisse a sfoggiare la sua abilità, a ridicolizzare un professore incapace, ad aiutare i compagni nei calcoli e si lanciasse in profondissime analisi di problemi che precorrevano i tempi di decenni, Ettore forse non era sempre in grado di sopportare il genio che possedeva. Forse risentiva ancora delle "esibizioni" di calcolo mentale a cui veniva sottoposto da bambino. A questo proposito è interessante l'osservazione di Erasmo Recami (uno dei principali storici di Majorana, assieme ad Edoardo Amaldi) secondo cui il muro verso cui Majorana si voltava nelle gare con Fermi poteva essere il corrispettivo del tavolo sotto cui il piccolo Ettore si nascondeva quando parenti e amici andavano a sentire "il bambino prodigio".
Non sappiamo esattamente ciò che passava nella mente di Majorana, se veramente non avrebbe voluto essere un genio di tale grandezza, o se fu segnato dalla sua infanzia (magari il muro gli serviva semplicemente per appoggiare il foglietto), ma non si può negare che doveva soffrire di un grave malessere interiore se, nel marzo del 1938, nel pieno del suo corso di fisica teorica che teneva all'università di Napoli, e dopo aver pubblicato dei lavori di fisica teorica di grande classe e incredibilmente avanti nei tempi, in completo isolamento da Fermi e dai suoi amici di Roma, decise di mettere fine alla sua vita pubblica e alla sua carriera per sparire nel nulla, lasciando credere di essersi tolto la vita. Nessun cadavere è stato mai ritrovato e molte testimonianze lo hanno dato per vivo dopo la scomparsa: chi sostiene di averlo ricevuto in convento in cerca di ospitalità ma di non averlo potuto accogliere. Oppure c'è chi dice di averlo visto sotto le spoglie di un barbone. Chi di averlo visto in Argentina. Molte di queste ipotesi, anche se fatte in buona fede, sono fantasiose e non si può escludere l'ipotesi del suicidio. Una delle certezze è invece il prelievo di una considerevole somma di denaro (alcuni stipendi arretrati) che Majorana fece prima di far perdere le sue tracce. L'equivalente di circa 10 mila dollari attuali.
Al di là dell'amarezza per la scomparsa, Majorana lascia sempre perplessi per l'alone di mistero e di solidarietà che è riuscito a crearsi non solo con la sua sparizione. Le opere scientifiche e i quaderni inediti con calcoli e studi stupiscono per il rigore, la completezza, la profondità di pensiero scientifico, la lungimiranza. Le applicazioni della teoria dei gruppi alla fisica teorica indagate da Ettore sono diventate "di moda" molti anni dopo. La sua padronanza delle nuove teorie relativistiche di Dirac gli consentivano di lavorare in elettrodinamica quantistica in completa autonomia. Pur non avendo le doti di caposcuola di Fermi, Majorana aveva iniziato un eccezionale corso di fisica teorica a Napoli, molto moderno per l'epoca (1938) e simile ai corsi di oggi di meccanica quantistica. Il numero di articoli pubblicati è incredibilmente piccolo se si considerano le capacità che aveva lasciato trasparire nelle poche occasioni in cui si era lasciato andare a una comunicazione scientifica "normale": solo dieci. Nove capolavori di fisica teorica più uno splendido esempio di divulgazione scientifica.
La vicenda umana e scientifica di Majorana lascia l'impressione di una manifestazione di intelligenza pura, nella scienza e nello spirito. Intelligenza che si attribuisce troppo spesso ai soliti, immortali, Isaac Newton, Albert Einstein, Karl Friederich Gauss e pochi altri. Amaldi esprime così il senso di vuoto lasciato dall'amico Ettore: "tutti sono rimasti con un senso di profonda amarezza per la perdita, chi di un parente, chi di un amico, gentile riservato e schivo di manifestazioni esteriori, così evidentemente affettuoso anche se profondamente amaro: un senso di frustrazione per tutto quello che il suo ingegno non ha lasciato ma che avrebbe ancora potuto produrre se non fosse intervenuta la sua assurda scomparsa; e soprattutto un senso di profondo e ammirato stupore per la figura di uomo e di pensatore che era passata tra noi così rapidamente, come un personaggio di Pirandello carico di prolemi che portava con sé, tutto solo; un uomo che aveva saputo trovare in modo mirabile una risposta ad alcuni quesiti dela natura, ma che aveva cercato invano una giustificazione alla vita, alla sua vita, anche se questa era per lui di gran lunga più ricca di promesse di quanto essa non sia per la stragrande maggioranza degli uomini".
A cura di Angelo Mastroianni