Enrico Fermi
Fisico, si occupò di meccanica quantistica e in particolare di fisica nucleare, caposcuola dei celebri "ragazzi di via Panisperna".
Il massimo fisico italiano di tutti i tempi nasce a Roma, il 29 settembre del 1901. Sviluppa subito una dote che manterrà sempre, ovvero l'autonomia nell'apprendimento. Per avere un’idea della sua precocità basta pensare che a 10 anni è in grado di capire l'equazione del cerchio. A scuola viene spesso criticato per la sua presunta aridità mentale, soprattutto nelle composizioni di italiano. Forse è così, ma probabilmente i suoi insegnanti non sanno che Enrico, a tredici o quattordici anni, studia matematica per conto suo aiutandosi con libri usati, comprati o semplicemente sfogliati al mercatino di Campo de Fiori, a Roma. Già, sfogliati. Al ragazzo basta leggere un libro di matematica una volta, poi lo ricorda. O almeno è in grado di selezionare da solo giusto il necessario che gli serve per procedere autonomamente.
Uno dei libri che acquista a una bancarella è scritto in latino e si chiama
Al momento dell'iscrizione all'università convince i genitori a farlo andare a Pisa, dove può concorrere per la prestigiosa Scuola Normale Superiore. A Roma Enrico non avrebbe potuto dedicarsi serenamente allo studio per via dell'atmosfera di lutto che si era creata a casa dopo la tragica morte del fratello Giulio, unico vero compagno d’infanzia di Enrico oltre a Enrico Persico, conosciuto proprio dopo la morte del fratello.
Amidei ha reso un grande servizio alla scienza italiana: il neolaureato Enrico Fermi è, poco più che ventenne, un’autorità in relatività e teoria dei quanti, noto anche fuori dall'ambito universitario. Nonostante la sua posizione assolutamente unica e promettente nel panorama della fisica italiana, Fermi è piuttosto preoccupato per la carriera. Dopo vari incarichi universitari, soprattutto di matematica, e dopo alcuni periodi di studio all'estero (Göttingen e Leiden) può finalmente insegnare la sua materia, e alla sua maniera, nel 1926: è il primo professore di fisica teorica in Italia.
Fermi non era rimasto molto soddisfatto dall'esperienza a Gottingen, dove aveva trovato i futuri fondatori della meccanica quantistica in un periodo di vera crisi. Fermi è abituato fin da ragazzo ad aggirare i formalismi matematici se non sono necessari, mentre nei seminari o nelle lezioni di Max Born gli era sembrato che la fisica rimanesse nascosta dietro il rigore delle dimostrazioni matematiche. Werner Heisenberg si accorge di questo, ma non riesce subito a introdurre Fermi nel "giro". Inoltre, come osservato anche da Laura Fermi, Enrico era abituato a primeggiare: nessuno in Italia era al suo livello (eccetto forse l'amico Persico e soprattutto Majorana, come avrebbe scoperto presto), mentre i "ragazzi di Gottingen" lo erano tutti, con in più una spiccata tendenza al ragionamento matematico astratto, e di lì a pochi anni avrebbero rivoluzionato la fisica. A questo aggiungiamo il carattere di Fermi, non molto socievole, soprattutto in un paese straniero. Qualche soddisfazione maggiore gli viene invece dal soggiorno a Leiden, dove conosce Paul Ehrenfest e comincia a maturare le idee che, dopo avergli fatto mancare per poco il principio di esclusione di Pauli, lo porteranno al suo primo vero capolavoro da teorico: la statistica quantica delle particelle che soddisfano il principio di Pauli (scoperta poi indipendentemente da Dirac).
Nel 1927 ritrova a Roma il compagno di università Franco Rasetti e nasce un eccezionale sodalizio tra le loro doti complementari: Fermi straordinario teorico fenomenologo e ottimo sperimentale, anche se molto pragmatico ed essenziale; Rasetti raffinato sperimentatore, tra i migliori al mondo nelle misure di precisione. Con gli studenti reclutati dalla facoltà di Ingegneria dal direttore dell'istituto di via Panisperna Orso Mario Corbino (Edoardo Amaldi, Emilio Segrè ed Ettore Majorana) Fermi diventa il caposcuola dei celebri "ragazzi di via Panisperna", destinati ad avviare la tradizione della fisica italiana del '900.
Con il gruppo di via Panisperna Fermi compie fondamentali ricerche prima di fisica atomica e spettroscopia, poi dopo la svolta del 1929, in fisica nucleare. Una mattina presto del 1933, come è sua abitudine, si dedica al lavoro teorico. Sfruttando l’ipotesi del neutrino di Pauli, fonda la fisica delle interazioni deboli con il suo Tentativo di una teoria dei raggi beta. Nel 1934 scopre la radioattività artificiale indotta da neutroni lenti, che gli frutterà il premio Nobel per la fisica nel 1938. Oltre a essere l’ennesimo nuovo importante capitolo della fisica aperto da Fermi, il lavoro svolto sui neutroni gli sarà di prezioso aiuto per lo sviluppo della prima "pila" o reattore nucleare, messo a punto negli USA. Nel 1938, infatti, Fermi non rientra in Italia dalla Svezia, dove ritira il Nobel, e si trasferisce con la famiglia negli Stati Uniti, dove non ci sono leggi razziali che possano danneggiare la moglie ebrea Laura Capon e dove il governo assicura finanziamenti quasi “eccessivi” per quello che i fisici sono in grado di fare, rispetto al nostro governo fascista impegnato in tutt’altre faccende.
Si stabilisce dapprima alla Columbia University, dove una volta saputo della fissione del nucleo (scoperta nel 1938 da Otto Hahn, Fritz Straassmann, ma interpretata da Lise Meitner e Otto Frisch e realizzata inconsapevolmente dallo stesso Fermi a Roma) intuisce subito la possibilità di una reazione a catena. In poche settimane Fermi è il massimo esperto mondiale di reazioni nucleari a catena e ha un ruolo di primissimo piano nella progettazione e realizzazione della “pila”. Il lavoro di Fermi e dei suoi collaboratori si concretizzerà nella data storica del 2 dicembre 1942, quando il reattore di Fermi raggiunge la soglia critica per la produzione di energia tramite reazione a catena controllata.
Le sue competenze nel campo lo faranno diventare “l’oracolo” per gli scienziati che a Los Alamos relizzeranno il primo esempio di esperimento di “big science” della storia: la realizzazione del primo ordigno atomico, nella corsa alle armi atomiche per precedere i fisici tedeschi. Anche con la Germania ormai caduta, i fisici di Los Alamos continueranno a lavorare alla bomba, anzi proseguiranno anche dopo, con Fermi impegnato anche nel progetto della superbomba. Fermi è pienamente consapevole della pericolosità delle armi atomiche e insisterà per un uso pacifico della fisica nucleare.
Negli anni trascorsi a Los Alamos Fermi è tra i pochi a capire e sfruttare le potenzialità dei primi calcolatori elettronici, sua vecchia passione. Nel dopoguerra si trasferisce a Chicago, dove accade una seconda svolta importante. Coglie al volo i punti fondamentali della nascente fisica delle particelle, interessandosi soprattutto di raggi cosmici, mesoni, pioni e riscopre il piacere di dedicarsi alla fisica teorica. La seconda incredibile rivoluzione di Fermi è la scuola di fisica creata a Chicago: pochi ne sanno creare una, lui ne ha create due! A Chicago Fermi lavora come ai tempi di Roma vent’anni prima. Insegnamento e ricerca vanno di pari passo e spesso si svolgono sulla stessa lavagna. I quadernetti redatti a Roma, da solo e senza libri di fisica, gli sono ancora di aiuto per i seminari informali che tiene nel suo studio.
Lavora instancabilmente fino alla fine, il lavoro precursore di tanti calcoli e simulazioni numeriche di oggi con Pasta e Ulam viene pubblicato dopo la sua morte. Uno degli ultimi suoi capolavori sono le lezioni tenute in un memorabile corso estivo a Villa Monastero, a Varenna sul lago di Como, nel 1954. Il corso è oggi intitolato a lui. Nonostante il cancro, che lo avrebbe ucciso pochi giorni dopo, i partecipanti poterono vedere Fermi al massimo della sua forma di maestro e didatta.
A cura di Angelo Mastroianni