Renato Dulbecco
Medico, grande protagonista della ricerca scientifica, premio Nobel per la scoperta dell'azione dei virus tumorali nelle cellule.
Con la morte di Renato Dulbecco - ha dichiarato il Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, prof. Luigi Nicolais - la comunità scientifica mondiale perde uno dei suoi più autorevoli testimoni. Curioso, rigoroso, ottimista, aperto ai giovani e all’integrazione fra saperi diversi, era riuscito, soprattutto attraverso il Progetto Genoma, ad avvicinare e a chiarire alla gente il ruolo e la funzione sociale del lavoro dello scienziato..
Renato Dulbecco nacque a Catanzaro il 22 febbraio del 1914. Il padre, che lavorava nel Genio Civile, venne mandato a Cuneo prima, poi a Torino e infine a Imperia, dove il giovane Renato frequentò il liceo De Amicis. Nel 1930, a soli 16 anni, si iscrisse alla Facoltà di Medicina dell'Università di Torino dove incontrò due studenti che ebbero una forte influenza sulla sua vita, Salvatore Luria e Rita Levi Montalcini, anche loro negli anni insigniti del Premio Nobel. La laurea arriva nel 1936 con una tesi di Anatomia patologica discussa con Giuseppe Levi e premiata con la votazione di 110 summa cum laude e dignità di stampa.
Subito venne chiamato come ufficiale medico a prestare il servizio militare. Congedato nel 1938 ritornò ai suoi studi di patologia, ma dopo solo un anno arriva nuovamente il richiamo alle armi a seguito dello scoppio della seconda guerra mondiale. Venne mandato dapprima sul fronte francese e un anno dopo su quello russo dove, nel 1942, rischiò di morire. Dopo diversi mesi di ricovero in ospedale venne, infine, rimandato in Italia. Caduta la dittatura fascista, Dulbecco entrò a far parte della Resistenza, riprendendo a frequentare, nel contempo, l'Istituto di anatomia dell'Università di Torino.
Nel dopoguerra si cimentò in una breve esperienza come consigliere comunale di Torino, salvo scoprire che la politica non lo affascina e abbandonarla per tornare ai suoi laboratori di ricerca.
Arriva nel 1947 la decisione di lasciare l'Italia per gli Stati Uniti, a seguito di un invito da parte di Salvatore Luria all'Università di Bloomigton, nell'Indiana. Qui Dulbecco, usando le sue conoscenze matematiche, in due anni riuscì a effettuare un ottimo lavoro coronato da notevoli scoperte nel campo della "fotoriattivazione".
Questi risultati attirano l'attenzione di Max Delbrück, che nel 1949 gli offrì un lavoro presso il California Insitute of Technology (Caltech) di Pasadena dove egli potè applicarsi allo studio di virus patogeni degli animali e mettere a punto una tecnica per testare l'effetto di virus diversi su colture di cellule animali. La rilevanza dei suoi studi sui poliovirus gli permise di ottenere l'incarico come docente ordinario.
Negli anni seguenti Dulbecco riuscì a creare una procedura per ottenere una serie di virus geneticamente puri, fino a riuscire, nel 1955, a isolare il primo mutante del virus della poliomelite, scoperte che serviranno poi a Sabin per la preparazione del vaccino.
Ma è dal 1958 che iniziò a interessarsi alla ricerca oncologica, studiando virus animali che provocano forme di alterazione nelle cellule. L’interesse per i virus, si fece sempre più specifico, fin quando sfociò in uno studio del tutto nuovo, riguardante i virus che trasformano le cellule da normali in cancerose, capaci cioè di moltiplicarsi incessantemente. La scoperta più importante fu la dimostrazione che il DNA dei virus chiamati "oncogeni" viene incorporato nel materiale genetico cellulare, con conseguente alterazione permanente della cellula.
E' questo il filone di ricerca che lo porteranno a vincere nel 1964 il premio Lasker per la ricerca medica e nel 1975 il Premio Nobel per la medicina, insieme a David Baltimore e Howard Temin.
Dal 1986 si impegnò attivamente anche in Italia nel Progetto Genoma Umano, del quale è stato uno dei promotori.
Oltre al premio Nobel, Dulbecco è stato insignito della laurea honoris causa in Scienze dall'Università di Yale ed è diventato membro dell'Accademia dei Lincei, dell'Accademia Nazionale delle Scienze americana e della Royal Society inglese.
A cura di Redazione Torinoscienza