Subrahmanyan Chandrasekhar
Astrofisico, premio Nobel per la Fisica per i suoi studi sull'evoluzione e sulla struttura delle stelle.
"Ero sempre impressionato dalla profondità e dalla complessità del pensiero di Chandra…Il suo stile era modellato dagli autori inglesi dell'ultimo Ottocento inizio Novecento e da Shakespeare. Era un piacere ascoltare uno dei suoi interventi. In aggiunta al suo stile, aveva uno dei migliori accenti della classe benestante inglese che io avessi mai sentito."
Queste righe fanno parte di un articolo scritto dal premio Nobel Hans Bethe e pubblicato su Nature nell'ottobre 1995. Non è un semplice articolo quello del grande fisico; è un appassionato ricordo di un collega che era scomparso il 21 agosto di quello stesso anno. Insieme a molti altri uomini di scienza e cultura, Bethe aveva reso omaggio a uno dei più grandi astrofisici del secolo: Subrahmanyan Chandrasekhar.
Uomo colto e raffinato, Chandra - come lo chiamavano amici e colleghi di tutto il mondo - aveva vinto il premio Nobel nel 1983 per i suoi studi sull'evoluzione stellare compiuti negli anni trenta. Tali ricerche avrebbero aperto la strada alla definizione del concetto di buco nero.
"In un certo senso, la scomparsa di Chandra chiude un'era" aveva commentato Eugene Parker, amico e collega dello scienziato indiano; un'era iniziata con un lungo viaggio per mare a bordo di un transatlantico dove Chandra, allora precocissimo talento, nato a Lahore il 19 0ttobre del 1910, rivoluzionò le concezioni sulla struttura delle stelle con un calcolo che avrebbe fatto storia.
Il battello salpò il 31 luglio del 1930 dal porto di Bombay alla volta dell'Inghilterra. A bordo c'era uno studente che si era fatto conoscere nel mondo della ricerca per un paio di articoli, uno dei quali pubblicato nei Proceedings of the Royal Society nel 1928.
Chandrasekhar aveva inviato il suo lavoro intitolato The Compton Scattering and the New Statistics a Ralph H. Fowler, professore al prestigioso Trinity College. Fowler rimase piacevolmente sorpreso da quell'articolo e lo propose alla Royal Society affinché lo pubblicasse nei suoi Proceedings; poi in seguito invitò quel giovane e precoce studente a Cambridge come research student sotto la sua personale guida. Fu durante quel viaggio che Chandrasekhar sviluppò una serie di calcoli sulle nane bianche, ultimo stadio di stelle giunte alla fine de loro ciclo vitale, che portarono a un risultato davvero inquietante per quel periodo: se la nana bianca avesse avuto una massa superiore a 1.4 masse solari, allora, una volta terminato il combustibile nucleare, avrebbe continuato a contrarsi su se stessa indefinitamente, dando origine a un collasso gravitazionale inarrestabile. Il risultato era così fuori dagli schemi ordinari della fisica conosciuta che neppure Fowler, la prima persona alla quale Chandrasekhar mostrò quel risultato, ne apprezzò la valenza. La battaglia che Chandrasekhar dovrà sostenere per difendere la validità del proprio risultato era appena agli inizi e avrebbe avuto esiti inaspettati.
Fin da giovanissimo Subrahmanyan Chandrasekhar, aveva dimostrato di essere uno studente brillante. Primo di quattro figli in una famiglia benestante che comprendeva anche sei sorelle, venne seguito nella prima educazione da tutori privati e dai genitori, in particolare la madre, donna di grandi capacità intellettuali, mentre il padre rivestiva un ruolo di spicco all'interno della Northwestern Railways e poteva dedicare meno tempo ai figli.
Nel 1918 il padre venne trasferito a Madras e con lui andò tutta la famiglia. Qui Subrahmanyan frequentò la Hindu Hight School dal 1922 al 1925, per poi proseguire con gli studi universitari alla prestigiosa Presidency College dove giunse alla laurea nel 1930. Con alle spalle i due articoli del '28 presentati a Fowler era pronto per iniziare l'avventura inglese in quel di Cambridge.
A quel tempo, alcuni tra i migliori scienziati dibattevano sulla natura della materia iperdensa; tra questi c'era Eddington, considerato un luminare della scienza e uno dei pochi grandi esperti di relatività. Proprio la teoria di Einstein aveva sollevato interrogativi non da poco conto a riguardo degli stati della materia. Nel 1916, l'astronomo Karl Schwarzschild aveva scoperto la prima soluzione esatta delle equazioni di Einstein, descrivente il campo gravitazionale esternamente a un corpo sferico. Alcuni risultati che forniva questa soluzione avevano fatto credere che fosse impossibile comprimere una stella, e quindi la materia di cui era formata, al di sotto di un certo raggio.
La successiva scoperta delle nane bianche sollevò suggestivi e inquietanti interrogativi, in particolare Sirio B che conteneva i 4/5 della massa del Sole in un diametro poco più grande di quello della Terra. Si potevano forse raggiungere concentrazioni di massa ancora maggiore? Come si sarebbe comportata la materia sotto queste condizioni?
Subrahmanyan Chandrasekhar a bordo del battello che lo stava portando in Inghilterra, rispose a queste domande. La materia di cui era fatta una stella poteva collassare sotto il suo stesso peso indefinitamente qualora avesse avuto massa sufficiente. Lo scenario era sorprendente e pareva violare principi fisici noti e sicuri, come quello di esclusione di Pauli. Per tali ragioni non tutti si convinsero del risultato di Chandra, anzi. Sebbene in privato gente come P. M. Dirac o W. Pauli incoraggiavano gli studi del giovane indiano, la posizione ufficiale era quella di Fowler e, in primis, quella di Eddington che contestava con tutte le forze quei risultati così assurdi: la nana bianca era l'ultimo stadio di una stella punto e basta; oltre non vi poteva essere null'altro.
Dal canto suo, con caparbietà, Chandrasekhar continuò le sue ricerche sull'evoluzione stellare e le nane bianche per almeno un decennio (1929-1939), confermando sempre i risultati sul collasso gravitazionale che aveva ottenuto.
Ma Eddington fu irremovibile: la natura non poteva comportarsi in quel modo assurdo e sicuramente sarebbe intervenuto qualche meccanismo che avrebbe impedito una situazione come quella descritta da Chandra.
Neanche il memorabile articolo del '39 a opera di Julius Robert Oppenheimer e del suo allievo Harold Snyder, universalmente riconosciuto come il primo fondamentale passo verso la scoperta teorica dei buchi neri, servì a mutar atteggiamento. Dopotutto neanche il divino Einstein credeva che la materia potesse contrarsi arbitrariamente. Solo negli anni sessanta i lavori di Chandra sulle nane bianche saranno ripresi, e confermati, da alcuni gruppi di ricercatori che li utilizzeranno come base di partenza per comprendere le dinamiche evolutive che portano alla formazione dei buchi neri.
Nel frattempo Chandra convolò a giuste nozze con Lalitha Doraiswamy, un'amica conosciuta ai tempi del college a Madras. Si sposarono in India nel settembre del 1936. Poco dopo, con la sposa, Chandra si trasferì presso l'Università di Chicago dove sarebbe rimasto per il resto della sua vita.
Nei primi anni dopo il trasferimento a Chicago si dedicò alla dinamica stellare e al moto browniano, che culminarono nel '43 con l'articolo An introduction to the Study of Stellar Structure, che sarebbe divenuto un testo classico sulle proprietà di base delle stelle e il libro Principles of Stellar Dynamics, cui seguirà nel 1950 il monumentale Radiative Transfer. Intanto era scoppiata la guerra. Sebbene Chandra fosse un grande estimatore di Ghandi, decise di dare il suo contributo al crollo della follia nazista dedicandosi presso l'Aberdeen Proving Ground allo studio delle onde d'urto.
Al termine della guerra, sebbene più di una volta dovette subire le umiliazioni razziste di una società americana non ancora bel disposta nei confronti di chi, come lui e sua moglie, aveva la pelle scura, decise di prendere la cittadinanza americana. Il padre ne fu assai dispiaciuto perchè mai aveva rinunciato all'idea che il suo Chandra potesse tornare in patria.
Divenuto titolare nel 1952 della prestigiosa cattedra di astrofisica teorica dell'Institute for Nuclear Studies di Chicago, Chandrasekhar decise che era ora di trasformare il bollettino interno dell'università in una rivista che fosse un punto di riferimento per i ricercatori di tutto il mondo. Dopo complicate trattative convinse l'American Astronomical Society e l'Università di Chicago a pubblicare l'Astrophysical Journal, di cui ne divenne editore per i successivi 19 anni portando a termine la trasformazione che si era proposto.
Dedicandosi alla relatività e alla teoria matematica dei buchi neri negli ultimi venti anni di ricerca (1960-1980) giunse nel 1983 alla stesura di un altro caposaldo della letteratura scientifica, The Mathematical Theory of Black Holes.
Ma il 1983 gli avrebbe riservato l'onorificenza più ambita per uno scienziato; cinquanta anni dopo i suoi studi sulla struttura delle stelle fu insignito del premio Nobel per la fisica insieme all'astrofisico statunitense W.A. Fowler, omonimo di quel Fowler che lo aveva invitato a Cambridge ma che non comprese la portata dei suoi risultati.
Quattro anni dopo pubblicò Truth and Beauty, libro nel quale esplorava con l'intelligenza che lo contrastingueva le motivazioni che spingevano scienziati e artisti a svolgere il proprio lavoro, accomunati da un personale desiderio di ricerca della bellezza.
Subrahmanyan Chandrasekhar mori il 21 agosto del 1995. Accanto alla sua intensa opera scientifica, Chandrà è ricordato per essere stato un vero signore, un uomo di profonda cultura e di intelletto aperto.
Accompagnò più di cinquanta studenti al conseguimento del dottorato, perché non era soltanto un grande scienziato ma anche un vero maestro.
A cura di Paolo Magionami