Il mistero dei "dinosauri" della Gardetta

Letto finora

Il mistero dei "dinosauri" della Gardetta

22 Gennaio 2021

Le Università di Torino, Roma e Genova insieme al museo di Trento hanno scoperto in Valle Maira un'impronta fossile attribuita a un rettile di oltre 250 milioni di anni fa.

Il mistero dei "dinosauri" della Gardetta

Il 14 gennaio un comunicato stampa diffuso congiuntamente dalle Università di Torino, Roma-Sapienza e Genova e dal Museo delle scienze di Trento ha ufficializzato una scoperta scientifica di cui molti escursionisti che frequentano la cuneese Valle Maira erano almeno sommariamente a conoscenza da alcuni anni: il ritrovamento di un tipo inedito di impronta fossile, attribuita a un rettile che è stato recentemente denominato Isochirotherium gardettensis, in riferimento all'altopiano della Gardetta, in cui le impronte sono state scoperte. Geologi e paleontologi degli Atenei di Torino, Roma-Sapienza, Genova e Zurigo e del Muse hanno certificato l'unicità e l'elevato valore scientifico delle impronte, rinvenute a più riprese a partire dal 2008 sull'affascinante altopiano che rientra nel territorio del Comune di Canosio dal geologo e accompagnatore naturalistico dronerese Enrico Collo.
La relazione sulla scoperta paleontologica è stata pubblicata sulla rivista internazionale PeerJ da un team multidisciplinare di ricercatori italiani e svizzeri, i quali hanno descritto una serie di orme fossili impresse da grandi rettili vagamente simili a coccodrilli circa 250 milioni di anni fa, quando le Alpi occidentali non esistevano ancora. Le impronte sono state scoperte da Enrico Collo a circa 2200 metri di quota, nel corso di una ricerca finalizzata alla sua tesi di laurea in geologia. Nel 2008, insieme al professor Michele Piazza dell'Università di Genova e nel 2009 con Heinz Furrer dell'Università di Zurigo, Collo riuscì a identificare in alcune rocce messe a nudo dal dilavamento della cotica erbosa che le ricopriva alcune tracce di calpestìo, lasciate dai grandi rettili sui fondali fangosi ondulati di una antica linea di costa marina in prossimità di un delta fluviale. Già! Perché 250 milioni di anni fa, laddove si eleva la catena alpina occidentale, vi erano spiagge che costeggiavano un mare tropicale.
Lo studio pubblicato in accordo con la Soprintendenza Archeologia belle arti e paesaggio per le Province di Alessandria Asti e Cuneo, descrive le orme della Gardetta in parte come fossili riconducibili all'icnogenere Chirotherium e istituisce inoltre un tipo di impronta fossile nuova per la scienza, denominata appunto Isochirotherium gardettensis.

L'emozione della scoperta
"È stato molto emozionante notare appena due fossette impresse nella roccia, spostare un ciuffo erboso e realizzare immediatamente che si trattava di un'impronta lunga oltre trenta centimetri" ricorda il paleontologo Edoardo Martinetto del Dipartimento di scienze della terra dell'Università di Torino, primo scopritore delle nuove tracce "Un vero tuffo nel tempo profondo, con il privilegio di poter appoggiare per primo la mano nella stessa cavità dove in centinaia di milioni di anni se n'era appoggiata soltanto un'altra. Mi è venuto spontaneo rievocare subito l'immagine dell'animale che lasciò, inconsapevolmente, un segno duraturo nel fango morbido e bagnato, destinato a divenire roccia e innalzarsi per formare parte della solida ossatura delle Alpi". Secondo Fabio Massimo Petti del Muse di Trento, esperto di orme fossili e primo autore della relazione scientifica, si tratta di un ritrovamento unico in Europa: "Le orme sono eccezionalmente preservate e con una morfologia talmente peculiare da averci consentito la definizione di una nuova icnospecie che abbiamo deciso di dedicare all'altopiano della Gardetta". Il paleontologo Massimo Bernardi del Muse ha sottolineato che i ritrovamenti testimoniano la presenza di rettili di grandi dimensioni in un luogo e un tempo geologico che si riteneva caratterizzato da condizioni ambientali inospitali. Le rocce che preservarono le impronte, formatesi pochi milioni di anni dopo la più severa estinzione di massa della storia della vita, l'estinzione permotriassica, dimostrano che quest'area non era totalmente inospitale alla vita come ritenuto in precedenza. "Non è possibile conoscere con precisione l'identità dell'organismo che ha lasciato le impronte, che abbiamo attribuito all'Isochirotherium gardettensis, ma, considerando la forma e la grandezza delle impronte e altri caratteri anatomici ricavabili dallo studio della pista, si trattava verosimilmente di un rettile arcosauriforme di notevoli dimensioni, lungo almeno 4 metri" ha annunciato il paleontologo Marco Romano dell'Università La Sapienza.

Un'opportunità di sviluppo culturale e turistico
Per il successo delle indagini scientifiche sulle impronte della Gardetta è stato determinante il contributo organizzativo ed economico dell'associazione culturale Escarton che ha sostenuto il progetto a partire dal 2016 e che, grazie al presidente Giovanni Raggi, ha svolto un ruolo di intermediario fra il mondo della ricerca e le istituzioni locali, rappresentate dai Sindaci dei comuni di Canosio e Marmora e dall'Unione Montana Valle Maira. Il progetto di ricerca è destinato a svilupparsi ulteriormente, grazie all'estensione dell'area di ricerca e alla raccolta di ulteriori informazioni sui rettili triassici che hanno lasciato tracce nella zona. Ma soprattutto grazie alla diffusione dei risultati delle ricerche geo-paleontologiche mediante la creazione di un Geo-Paleo park, comprendente un centro visitatori e un giardino geologico didattico-divulgativo. "La nostra prossima sfida" sottolinea il coordinatore del progetto, Massimo Delfino del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Torino "è trovare la copertura finanziaria che garantisca una raccolta accurata ed esaustiva delle informazioni di importanza scientifica, la conservazione a lungo termine del patrimonio paleontologico della Gardetta e la sua valorizzazione in un'ottica di promozione culturale e turistica delle caratteristiche naturali della Val Maira".
Una domanda sorge spontanea: e se anche in altre vallate delle Alpi Occidentali, magari in quelle torinesi, si nascondessero altre impronte di rettili vissuto 280 milioni di anni fa? Chi può escludere che sotto i prati di alta quota della Valsusa o della Val Chisone non si celi un altro tesoro scientifico tutto da scoprire?

(22 gennaio 2021)