Camillo Sbarbaro
Scrittore, poeta e aforista italiano, nonchè uno dei maggiori lichenologi della prima metà del Novecento.
da "Addio ai licheni":
"Ancorato ai licheni mi ha forse
la notizia che non si sa cosa
siano; ma quel che in essi mi
commuove è la prepotenza di
vita. In quanti si contendono il
minimo spazio! Diversi di forma,
di colore, di portamento e,
per la scienza, di specie (e
quindi di genere, di famiglia,
di tribù...) si pigiano in tanti
sullo stesso pezzetto di corteccia
o di pietra da essere costretti
a scavalcarsi a invadersi a
vicenda..."
Camillo Sbarbaro nacque a S. Margherita Ligure nel 1888. Avviatosi a studi classici, già al liceo compone versi che poi saranno raccolti nel volumetto Resine, del 1911. Pubblica nel 1914 la raccolta poetica Pianissimo. Dopo la guerra si stabilisce a Genova, dove entra in contatto con Montale, la cui poesia nel suo primo tempo (fino ad "Ossi di seppia", 1925) risentirà in maniera decisiva dell'influsso di Sbarbaro. Nel 1920 è pubblicata la raccolta di prose Trucioli.
Alle brevi prose d'evocazione, ricche di straordinari valori artistici, egli si dedicherà anche in seguito, pubblicando nel '28 Liquidazione.
La sua vita trascorre solitaria e schiva. Il suo passatempo, cui si dà con profondo zelo scientifico, è costituito da varie collezioni di licheni di specie rara: su quest'argomento scrisse numerosi e qualificati opuscoli scientifici. Nel secondo dopoguerra Sbarbaro opera una scelta delle prose composte dal '14 al '40, pubblicandole nel '48 con il titolo di Trucioli (la seconda serie). Nel '54 ripubblica Pianissimo in veste lievemente modificata. E' del '55 un'altra raccolta poetica, dal titolo allusivo di Rimanenze che contiene, però, poesie composte dal '18 al '32.
Nel '61 si ha l'edizione definitiva di Poesie (contiene Primizie, Pianissimo nell'edizione originale del '14, una nuova e ridotta redazione di Pianissimo diversa anche dalla redazione intermedia del '54 e Rimanenze; furono escluse Resine).
Camillo Sbarbaro morì a Savona nel 1967.
L'essenzialità poetica di Sbarbaro, la sua capacità di distillare quasi allo spasimo la sua vena poetica sono già di per sé un contrassegno d'eccezionalità. Mentre in Resine, non a caso poi rifiutate dal poeta maturo, il linguaggio è abbastanza colorito e carico, nelle poesie successive il linguaggio tende ad una sua semplicità spoglia, ad un muto contatto con le cose. Non si tratta più, e qui è la lezione innovatrice del maggior Sbarbaro di una competizione con la realtà, nella volontà di accoglierne i ritmi e i colori; ma di un giudizio sulla realtà, maturato attraverso un confronto psicologico con le situazioni e le occasioni che essa offre: casuali e semplici, ma non eludibili nei loro riflessi umani.
Sullo sfondo uno scenario allargato, il paesaggio ligure, come premessa ad una più serena disposizione interiore, una felicità identificata e identificabile solo con le "parole", l'esercizio della poesia. I valori che Sbarbaro attinge muovendosi di là dalle proposte ermetiche, della loro letterariamente ambigua vocazione ad una metafisica allusiva sono certamente fra i più alti, se non i più alti, che si possano riscontrare nel Novecento.
Da Il mestiere di poeta, Garzanti, 1982
Conversazione di Ferdinando Camon con Camillo Sbarbaro:
"Camon: Lei ha scritto molto sui licheni. Che cos'è che l'ha attratto ad essi fin dall'inizio?
Sbarbaro: I licheni m'interessano come forma negletta - povera? - di vita. Sì, anche sui licheni scrissi sin troppo, sempre cercando una spiegazione a questo hobby: nessuna conoscenza specifica, solo curiosità, piacere visivo, simpatia: la stessa che mi fa avvicinare tutto quello che non è vistoso (persone, paesaggi), per gli altri senza importanza, misero.
C'è nella terza edizione (Ricciardi) dei Fuochi fatui un ultimo scritto sui licheni, una specie di epicedio. Ma il mio interesse per essi è forse chiarito meglio dal primo scritto sull'argomento (Trucioli, Mondadori), specie dalle frasi: "preso a mano dalla mia predilezione per le esistenze in sordina, mi volsi a forme più scartate di vita... L'albero vive d'una vita tanto più piena e armoniosa della nostra, che dargli un nome è limitarlo; mentre gli inconspicui e negletti licheni, a salutarli a vista per nome, pare di aiutarli ad esistere." Ritengo questa la causa intima della mia passione (estetica, non scientifica) per i licheni, durata quarant'anni e ormai caduta. Lo scorso anno, approssimandosi la terza depressione, regalai venti pacchi di licheni al Museo Civico di Storia Naturale di Genova. Dell'erbario, non conservai che qualche campione a ricordo..."
A cura di Rosa Maria Mistretta