Yuri Alekseyevich Gagarin
Cosmonauta e aviatore sovietico, fu il primo uomo a volare nello spazio e ritornare sulla Terra.
Anna Taktarova era una contadina dalla vita semplice e anonima, sperduta in una landa della grande Russia.
Moglie del guardaboschi locale della fattoria collettiva prossima al villaggio di Smelovka nella regione di Saratov, conduceva la sua vita senza troppi entusiasmi anche in quella giornata di aprile che pareva trascinarsi come tante altre prima.
Ancora non lo sapeva ma quel giorno avrebbe vissuto il suo momento memorabile; uno di quelli da raccontare sul far della sera davanti al focolare.
Lo strano uomo cadde dall'alto. Piombò, appeso a una specie di grande coperta, su un campo come tanti ma bello e morbido come mai avrebbe immaginato potesse essere un campo. Si tolse il casco e tornò a respirare aria vera. Una donna gli corse incontro. Si abbracciarono come se si conoscessero da una vita. Amici che si erano ritrovati, amanti che si erano incontrati.
Ad Anna Taktarova, contadina della grande Russia, parve che quello fosse il miglior modo di salutare l'alieno caduto dal cielo. A Yuri Gagarin, parve il miglior modo di essere accolto sulla Terra. Sano, salvo e tutto intero.
D'altronde se lo meritava proprio quell'abbraccio, lui che, 108 minuti prima si trovava sulla rampa di lancio della Città delle Stelle, all'interno della capsula Vostok 1, sulla sommità di un razzo puntato verso le stelle.
A breve, l'anonimato del quel villaggio fu rotto da uno sciamare di cappotti grigi e militari. Presero quello che c'era da prendere e se ne andarono, salvo ritornare subito dopo per evitare di dimenticare qualcosa.
Anna Taktarova, aveva vissuto il suo attimo di gloria: era stata la prima persona ad aver accolto il primo uomo nello spazio. Da lì in poi lo avrebbe rivisto solo nelle copertine dei giornali o ascoltato nei radio giornali come Eroe dell'Unione Sovietica.
Era il 12 aprile 1961. E la storia della conquista delle stelle era stata appena riscritta dalla voce di Radio Mosca che, anche in inglese, annunciò l'impresa dal Maggiore Yuri Gagarin.
La vita di quel piccolo grande uomo determinato, coraggioso, dal sorriso grande e cordiale, aveva toccato una delle vette più alte della storia dell'umanità.
Da lì in poi le cose combiarono e la grande Russia, la sua burocrazia, i suoi giochi di potere riuscirono a spegnere quel sorriso.
Era un birbantello il piccolo Yuri. Secondo figlio di Alexej Ivanovich un bravo falegname e di Anna Timofeyevna domestica senza grande istruzione ma appassionata lettrice, era venuto alla luce il 9 marzo 1934.
La famiglia era numerosa e vivace; c'era il primogenito Valentin, nato nel 1924, la sorella Zoya, nata nel 1927 e il piccolo Boris, nato nel '36.
La vita trascorreva tranquilla nel villaggio di Klushino, 160 chilometri a sud di Mosca e a Yuri fu impartita una educazione secondo solidi principi: rispetto, istruzione, onestà, lavoro e antipatia verso il servilismo.
Passava le notti a osservare il cielo stellato con lo zio Pavel che, di frequente si univa alla famiglia.
Poi, un giorno, arrivò la guerra. E gli uomini partirono per il fronte. E il fronte arrivò nel piccolo villaggio di contadini che si trovava proprio in mezzo alla direttiva di attacco dei carriarmati tedeschi.
Fu così che Yuri per la prima volta vide gli uomini volanti.
Un duello aereo nei cieli e i due aerei con la stella rossa dipinta sul fianco si ritrovarono a terra abbattuti.
Il villaggio portò immediato soccorso ai piloti, uno dei quali aveva l'aereo completamente distrutto, e i bambini si offrirono per fare da scorta a quei due esseri di un altro mondo che rimasero per la nottata accanto ai loro destrieri alati.
Ripartirono il giorno dopo, e al loro posto giunsero le armate con la croce uncinata.
La famigliola fu scacciata dalla loro casa e Boris rischiò di morire quando un nazista lo impiccò a un a un albero con la sua sciarpa; fortunatamente i genitori giunsero in tempo a rianimarlo.
Nel '43 il senso di percorrenza delle feroci armate di Hitler cambiò verso.
In piena ritirata, il malconcio esercito si portò via Valentin e Zoya Gagarin.
Fortuna volle che riuscirono a fuggire dal campo di concentramento dove erano stati rinchiusi e vennero assoldati dall'esercito russo.
La vita a poco a poco iniziò a riprendere nel piccolo villaggio e la maestra insegnò a leggere e scrivere ai propri allievi sul Manuale della Fanteria.
I Gagarin si trasferirono a Gzhatsk e Yuri iniziò a farsi valere a scuola, dove eccelleva in matematica. Entrò a far parte dei Giovani Pionieri e si interessò di fisica.
Aveva deciso di diventare un meccanico specializzato.
Dopo essersi diplomato entrò nel 1951 nella scuola Tecnica di Saratov. Dopo attività pratiche svolte nelle grandi industrie di Mosca e Leningrado si diplomò nel 1954, a venti anni.
Il tempo passato in istituto gli permise di venire in contatto con gli scritti di E. K. Tsiolkovsky, il padre dell'astronautica.
All'inizio del 1955 Yuri prese una decisione destinata a mutare il corso della sua vita.
Decise di iscriversi a una scuola serale di volo.
Fu un periodo impegnativo culminato con un battesimo del volo, come secondo, che lo portò a fare un giro su uno Yak 18 e a lanciarsi con il paracadute.
Yuri fu entusiasta di quella esperienza.
Poco dopo fece il suo primo volo da solo.
"Solo la musica" dirà in seguito"avrebbe potuto dare espressione alla mia gioia per il volo".
Divenuto pratico e piuttosto abile con la cloche decise di spingersi oltre e di entrare a far parte dell'aviazione sovietica.
Nell'autunno del 1955 la sua nuova destinazione fu Orenburg.
Nel gennaio dell'anno successivo il cadetto Yuri Gagarin prestava giuramento al Popolo, al Partito Comunista e allo Stato.
Poi iniziò a volare sui MiG.
Mentre la passione per i gli aerei cresceva di giorno in giorno, in Yuri sbocciò un nuovo travolgente sentimento.
Si chiamava Valentina Gorjacheva. Amava il teatro, la lettura e il pattinaggio e rispecchiava tutti i valori familiari e morali che avevano fatto crescere Yuri.
Si conobbero a una festa da ballo e si piacquero subito.
All'amore per Valya, come si faceva chiamare dagli amici Valentina, Yuri affiancò quello per i Mig e, con rinnovato ardore, quello per gli studi.
A lui, piccolo di statura ma grande di vedute e intenti, non bastava essere un bravo pilotato. Voleva diventare un pilota ingegnere.
E il 1957 fu un grande anno. Per la Russia e per lui.
Superò brillantemente gli esami finali della scuola di aviazione ottenendo un attestato con encomio; Valya accettò la sua proposta di matrimonio e l'Unione Sovietica lanciò nello spazio lo Sputnik 1.
Fu la grande impresa spaziale che spinse Yuri a terminare gli studi con rinnovato ardore e soprattutto, visto che si parlava già di inviare uomini nello spazio, a pensare di poter essere lui, un giorno, a essere tra quegli uomini.
Intanto la strada di Yuri era a un bivio: accettare la proposta di istruttore alla scuola di Orenburg oppure prendere la via dei campi di aviazione a sud in Ucraina?
Scelse la via più difficile, e dato il suo carattere la più ovvia.
Scelse il Nord, 300 chilometri oltre il Circolo Polare Artico.
Andò inizialmente da solo, accompagnato da due amici aviatori come lui.
Valya era rimasta a casa a preparare i suoi esami per ottenere il diploma di tecnica di laboratorio. Raggiunse il suo amato nell'agosto del 1958 quando Yuri stava divenendo sempre più padrone di tecniche di volo raffinate.
A Valya quel posto e quel clima orribile non piacquero mai.
La permanenza fu resa sostenibile dall'amicizia che Yuri strinse con il vicecomandante dello squadrone, anche lui sposato e con figlia. Le due famiglie iniziarono a frequentarsi e a partecipare alle feste e ai cori organizzati dalla moglie dell'alto ufficiale.
Ma la corsa allo spazio era da tempo iniziata. Dopo lo Sputnik 1 giunse il numero 2 e il 3, poi il lancio del Lunik 1.
Ben presto quella corsa avrebbe raggiunto anche il campo d'aviazione di Yuri in quello sperduto angolo di mondo.
Gli uomini del governo furono mandati in ogni base a tenere colloqui individuali con ogni pilota; al termine di questi, i selezionati furono inviati a Mosca, presso l'ospedale militare per ulteriori, misteriosi, accertamenti. Yuri, fu tra questi.
Nella capitale fu sottoposto a prove estremamente selettive: test attitudinali, esercizi ed esami psicofisici, problemi di matematica da risolvere.
Le prove andarono bene, ma il motivo per cui quei piloti venivano tartassati a quel modo non venne rivelato da alcuno. In attesa della seconda chiamata, fu rispedito alla sua base operativa tra i ghiacci.
La seconda selezione fu ancora più dura della prima. A prove attitudinali e fisiche in condizioni estreme, si alternavano test comportamentali in situazioni potenzialmente ricche di stress e pericoli ma alla fine il motivo di tanto patire fu reso esplicito: la madre Russia stava selezionando i suoi uomini migliori per mandarli nello spazio.
Di 2200 candidati ne furono selezionati alla fine solo venti. Entrato a far parte di quella ristretta elite, Yuri e la sua famiglia furono trasferiti a una nuova sede nelle vicinanze di Mosca.
Sebbene a Valya non dispiacesse affatto di dover lasciare per sempre quelle lande ghiacciate si accorse ben presto che il suo Yuri stava lentamente cambiando; parlava poco di questi suoi nuovi incarichi, era elusivo e con altri pensieri per la testa.
E infatti cosi era. Yuri aveva ormai ben chiaro per cosa lo stavano preparando, ma non era detto che sarebbe stato lui alla fine ad arrivare primo perciò rispose da par suo al duro lavoro a cui lo sottoposero gli specialisti sovietici. Le prove erano terribili e in una di queste perse la vita in modo tragico Valentin Bondarenko arso vivo dentro a una camera d'isolamento.
Il 25 gennaio 1961 Gagarin apprese che il suo nome era tra i sei che si sarebbero giocati il volo verso lo spazio: insieme a lui erano stati scelti Gherman Titov, Andrian Nikolaiev, Pavel Popovich, Nelyubov e Nikolaiev.
Tra gli esclusi figurava Alexeij Leonov, uno dei candidati con il quale Gagarin aveva stretto una grande amicizia.
Per Sergej Korolev, il progettista a capo dell'intero programma spaziale sovietico, i due migliori candidati, sui quali fare la scelta finale, erano Leonov e Gagarin.
Ma Leonov alla fine fu escluso per la sua statura poco adatta alle ridotte dimensioni della capsula Vostok.
Il rammarico per il giovane cosmonauta escluso sarebbe durato però solo qualche anno; poi nel 1965 diventerà il primo uomo ad aver abbandonato una capsula spaziale per effettuare una breve passeggiata nello spazio.
A Gagarin intanto nacque il 7 marzo una seconda figlia, Galya -la primogenita Melena Lenochka era nata nel '59- ma la piccola potè godere dell'abbraccio del padre aviatore solo per pochi giorni poiché Yuri dovette dirigersi a Baikonur per assistere al lancio della navetta Korabl-Sputnik con a bordo la cagnetta "Stellina" come la ribattezzò lo stesso Yuri.
Quello era l'ultimo volo prima del lancio di un uomo verso lo spazio.
Gagarin, Titov e Nelyubov furono i tre ultimi selezionati per il grande evento.
A Korolev, Titov non piaceva. Orgoglioso, sostenuto, freddo anche con gli amici era tutto l'opposto di Gagarin che, per giunta, era il prototipo del vero uomo sovietico, poiché proveniva da una famiglia di contadini ed era russo da generazioni mentre Titov era figlio di un maestro rurale, insomma di un intellettuale.
La Commissione per la nomina a primo astronauta decise: Gagarin sarebbe stato il primo cosmonauta sovietico, Titov la riserva e Nelyubov la riserva della riserva.
Tra vodka, arance e cibarie varie si festeggiò i primi di aprile la nomina di Yuri e l'imminente volo.
L'undici aprile il razzo R-7 fu portato in rampa di lancio.
Gagarin e Titov consumarono una giornata tutto sommato tranquilla, terminata con una partita di biliardo e una dormita naturalmente monitorata in ogni sua fase dagli attenti scienziati del centro spaziale.
E la mattina del 12 aprile alla fine giunse puntuale e con essa la storia.
Dopo la vestizione Gagarin, Titov e Nelyubov privo di tuta spaziale, furono portati con l'autobus all'appuntamento con il razzo R-7.
Durante il tragitto la tensione costrinse Yuri a una sosta non programmata e fu necessario fermare il mezzo per permettere a Yuri di fare un "bisognino".
Lo stop inatteso inaugurerà tra i cosmonauti russi una ferrea tradizione che dura ancora oggi: uno stop per far pipì prima del lancio.
Finalmente Yuri entrò dentro la capsula. Gli ultimi controlli, il ripasso veloce delle procedure di emergenza e del codice di sbloco dei comandi manuali, poi il portellone della capsula si chiuse.
Per alleviare l'attesa fu messa della musica come aveva chiesto tra il serio e lo scherzoso Yuri. Alle 8.51 la musica fu interrotta dalla voce di Korolev.
Comunicazioni in rapida successione poi "chiave di lancio in posizione di partenza"... "aria liberata. Accensione ".
"Si va !!" urlò Yuri e il razzo si levò dalla terra.
Il viaggio di Gagarin era appena iniziato.
Dopo 9 minuti dal lancio, la Vostok 1 era in orbita terrestre
"Mi sento bene , il volo procede regolare... La Terrà è azzurra. Vedo le nuvole. E’ bellissimo!" .
La navetta, dopo venti minuti, si portò sul Circolo Polare Artico, poi verso il Pacifico del nord. Dopo aver scambiato qualche battuta con l'amico Leonov, che non sapeva chi sarebbe stato tra Yuri e Titov ad andare in orbita per primo, Gagarin si trovò sopra l'Atlantico del Sud.
" I Russi hanno un uomo nello spazio e gli Stati Uniti dormono ", commentarono amaramente i quotidiani statunitensi il giorno dopo.
Dopo 79 minuti si accesero i retrorazzi di rallentamento e, tutto in modo automatico, la navetta assunse la giusta orientazione per far rotta di ritorno.
Intanto i genitori di Yuri furono rintracciati e avvisati che il loro figlio era divenuto un eroe.
I comunicati della TASS da criptici divennero via via sempre più frequenti espliciti e trionfali.
Tutta la storia di Yuri Gagarin sarà un trionfo della propaganda russa, abilissima a boicottare ogni verità reale o presunta in favore dell'unico vero dato di discussione che interessava: un uomo russo era andato nello spazio.
Durante la fase del rientro i problemi non mancarono. La navetta perse l'assetto, lo scudo termico rischiò di venir bruciato e la navetta compì vorticose rotazioni intorno a se stessa che per poco non fecero perdere i sensi al cosmonauta a bordo.
A settemila metri il portellone si aprì e Gagarin fu espulso fuori.
A 4000 si separò dal sedile e si aprì un grande paracadute.
Con quella grande coperta sulla testa Yuri si ritrovò poco dopo in quel morbido campo della grande Russia abbracciato da un'anonima contadina di nome Anna Taktarova.
Poi arrivarono gli uomini del regime che presero l'eroe dell'Unione Sovietica e lo portarono a Kuibishev, oggi Samara, dove provato e stanco parlò al telefono con Nikita Kruschev. Lì fu accolto trionfalmente da colleghi, scienziati uomini del regime e quanti altri avevano partecipato a scrivere quella pagina di storia.
Dopo le visite mediche, la giornata si concluse con la solita partita a biliardo con Titov.
I familiari era riuscito a sentirli solo per telefono e dovettero aspettare il 14 aprile quando Yuri fece il suo ingresso a Mosca per riabbracciare il figlio prodigo.
Iniziarono così per Yuri interminabili bagni di folla.
Radio, televisioni e carta stampata si contendevano foto e dichiarazioni del cosmonauta.
Il grande Eroe dell'Unione Sovietica che aveva conquistato lo spazio, si meritò alcuni benefit gentilmente concessi dal Partito ai suoi uomini migliori. Così Gagarin potè godersi un'automobile personale, un appartamento di quattro stanze in una zona residenziale di Mosca e una dacia per i week end in campagna.
Fu nominato ambasciatore di pace tra Usa e Urss e iniziò un lungo tour mondiale che gli avrebbe fatto toccare svariati punti del globo terrestre.
L'indottrinamento a cui fu sottoposto dal Partito costrinse Yuri a glissare abilmente sui problemi avuti durante il volo e sul fatto che arrivò a toccare terra appeso a un paracadute e non dentro la capsula, come invece riportarono tutti i notiziari e le testate giornalistiche del mondo.
Ma fu dura essere un mito vivente, un mito per giunta seguito, spiato, accompagnato dalla lunga mano del regime sovietico.
E Yuri cambiò.
Parte della storiografia poco indulgente lo trasformò in una sorta di ubriacone che correva dietro a ogni gonnella mentre quella di regime era impegnata a evitare che il mito potesse essere scalfito in alcun modo.
Di fatto Yuri perse il controllo. In una di queste, annebbiato dai fumi dell'alcol e fin troppo interessato a una infermiera che lavorava presso una località dove gli uomini potenti di Russia trascorrevano le loro vacanze, rimediò un trauma cranico e un taglio alla testa per evitare di essere scoperto mentre era in compagnia della bella infermiera.
Per Krushev che voleva promuovere un'immagine più distesa della Russia, e dei suoi uomini migliori senza macchia e senza peccati quell'incidente non ci voleva.
Gagarin fu rimesso in sesto e i dottori che lo avevano in cura vennero encomiati.
L'incidente fu subito chiuso su suggerimento del regime tra le mura di casa.
Ma i rapporti tra Yuri e Vanya andarono peggiorando. Era lo scotto da pagare per essere la compagna di una leggenda. Leggenda che iniziava a sentire un certo disagio nei confronti della alte gerarchie sovietiche, le quali, invece di fare gli interessi del popolo erano in realtà più concentrate a vendere bene l'immagine della Russia e a godere di privilegi e poteri vari.
Nel 1963 Yuri riprese a studiare. Le nuove leve dei cosmonauti erano agguerrite e non bastava essere abili piloti per andare nello spazio.
Nel 1964 approdò alla prestigiosa Accademia Zukovskij di Mosca dove alla fine discusse una tesi che prendeva in considerazione l'ipotesi di utilizzare una navetta dotata di ali che consentisse un rientro sulla terra pilotato dagli astronauti.
Insomma, Yuri stava pensando a qualcosa come lo shuttle venti anni prima dello shuttle.
Ma la situazione stava volgendo al peggio. Era vero che il programma sovietico stava bruciando le tappe e mieteva un successo dietro l'altro ma era anche vero che la situazione nascondeva degli enormi problemi. Per necessità politiche e di propaganda non erano ammessi ritardi nella conduzione del programma spaziale e questo, ormai era una prassi, significava soprassedere sulla sicurezza degli astronauti.
Le cose peggiorarono quando Krushev venne deposto da Brezhnev.
Questi intese fin da subito cancellare il periodo che lo aveva preceduto, riabilitando la parte più profondamente stalinista dell'Unione Sovietica.
Anche Gagarin ne fece le spese come più fulgido esempio del felice periodo governato da Krushev.
Le sue apparizioni in pubblico diminuirono e fu sorvegliato con ancor più accanimento dai servizi segreti che avevano provveduto ad allontanare le abituali guardie del corpo perché divenute ormai troppo amiche e confidenti.
Mentre si succedevano le imprese di Valentina Tereschkova, prima donna astronauta, di Leonov con la sua passeggiata spaziale e dei tre astronauti a bordo della Voshkod 1, Gagarin ebbe la conferma dei suoi sospetti nei confronti del regime quando Sergei Korolev si ammalò gravemente.
Nel gennaio del 1966 il progettista capo dell'interno programma spaziale sovietico fu ricoverato per una operazione all'intestino. Le sue condizioni erano pessime e il suo fisico, minato dalla prigionia in Siberia e dai ritmi di lavoro sostenuti per tener testa al suo programma, non resse all'operazione. Un'emoragia che i medici non riuscirono ad arrestare stroncò la vita del Von Braun sovietico. Ma Korolev, due giorni prima della fatale operazione, aveva fatto in tempo a raccontare la sua vicenda umana sotto la dittatura stalinista e il racconto colpì profondamente Yuri.
Crebbe il suo disappunto nei confronti della nuova nomenclatura sovietica e decise che sarebbe ritornato nello spazio; anzi promise che avrebbe portato le ceneri di Korolev sulla Luna e per questo si gettò a capofitto con la determinazione che lo distingueva negli studi.
Riuscì ad ottenere una prima vittoria quando si fece nominare sostituto cosmonauta per l'imminente missione Soyuz 1.
Una missione che, come tutti sapevano, era, però, una tragedia annunciata.
Il primo cosmonauta della missione, Vladimir Komarov, sapeva benissimo che quel volo a bordo della Sojuz sarebbe stato assai probabilmente un volo senza ritorno; e lo sapeva anche Gagarin.
Invano lui e altri colleghi cosmonauti avevano redatto un documento di dieci pagine sulle falle di quella missione: la Sojuz era una bara volante e le autorità dovevano sapere e sospendere il volo.
Ma la corsa allo spazio non ammetteva deroghe o ritardi. La politica entrò pesantemente nei programmi spaziali e la Sojuz era pronta a partire il 23 aprile 1967 insieme ai suoi 203 documentati difetti di costruzione.
Molti di coloro che avevano lavorato alla stesura di quel documento furono allontanati dal programma spaziale sovietico e caddero in disgrazia.
Gagarin cercò in tutte le maniere di annullare il lancio e addirittura di prendere il posto dell'amico Komarov.
Tutto inutile. La lunga mano del regime aveva preso in mano ogni cosa.
Il 23 aprile Komarov partì.
E come tutti sapevano Komarov non tornò vivo da quella missione.
Gagarin ne fu sconvolto. Si sentiva tradito da quella patria che aveva tanto amato.
Anche la situazione alla Città delle Stelle, il centro spaziale sovietico, era divenuta ormai insostenibile. I nuovi astronauti, tra i quali spiccava Georgji Beregovoi, erano l'espressione più arrivista e spietata del regime sostenuto da Brezhnev e, soprattutto, ben ammanicata col potere centrale.
Di fatto Beregovoi, che non amava affatto Gagarin, iniziò lì una carriera inarrestabile che dalla partenza con la Sojuz 3 nell'ottobre del 1968 lo vedrà arrivare nell'arco di quattro anni alla direzione della Città delle Stelle.
Al testardo figlio di contadini della madre Russia rimasero solo i microfoni spia che il KGB gli aveva messo ovunque.
Gagarin era divenuto inaffidabile, un pericolo per i programmi del regime.
Era un eroe della Russia, e per quello veniva trattato: una sorta di marionetta osannata dal mondo ma alla quale erano state azzerate le possibilità di tornare a volare e di mettere bocca sui programmi spaziali.
Neanche sui MiG riuscì più a maturare significative ore di volo, tanto che l'odioso Beregovoi non perdeva occasione di sottolineare come lui, eroe pluridecorato di guerra, era nettamente superiore a Gagarin.
Ma lo spirito del combattente era ancora forte in colui che per primo era andato nello spazio, e pertanto decise di rivolgersi a un istruttore esperto, Vladimir Serugin, per tornare a volare su caccia.
Fu la scelta che gli costò la vita.
Un giorno di marzo del 1968, mentre Valya era ricoverata in ospedale, Gagarin e Serugin, presero il volo con il loro Mig 15.
Quello che accadde dopo è ancora oggi in gran parte un mistero.
Un mistero sul quale pochi possono, o potevano, far luce.
L'aereo di Gagarin e Serugin si schiantò al suolo. Dei due piloti a bordo non ne rimasero che miseri brandelli.
Le autorità sovietiche si affrettarono a dire che il loro eroe aveva perso la vita in un banale incidente aereo.
Furono avviate numerose commissioni, tutte depistate o insabbiate dal Kgb.
I detrattori più feroci e spietati insinuarono anche il dubbio che i piloti fossero ubriachi. Gli esami condotti sui poveri resti del corpo di Gagarin smentirono la calunnia.
Il grande amico del cosmonauta, Leonov, insieme ad altri colleghi, iniziò la sua indagine personale da quale emersa una ipotesi mai suffragata: un aereo supersonico di nuova concezione per quei tempi, un Sukoi, avrebbe interferito con il volo del vecchio Mig di Gagarin; in particolare l'onda sonora prodotta dal superamento della barriera del suono avrebbe fatto perdere il controllo del mezzo ai due piloti.
Il Sukoi, secondo quanto raccolto da Leonov, avrebbe dovuto volare a 10000 metri e non a 1000 come invece pare che avvenne.
Nel 1986 fu avviata una nuova inchiesta, grazie all'instancabile lavoro di Leonov.
Si scoprì che le relazioni furono alterate, i testi cambiati e modificati, mani misteriose firmarono dichiarazioni fasulle.
Insomma, furono cambiate tutte le carte in tavola, per coprire le lacune dell'apparato sovietico in ogni ordine e grado.
Un misto di ipocrisia segretezza e corruzione aveva fatto il resto.
"Non ci sono disgrazie nella vita, solo cause che conducono a disgrazie", disse il fratello Valentin.
Il 30 marzo 1968 l'Unione Sovietica tributò al suo Eroe i funerali di Stato.
A sorreggere la bara gli stessi uomini che avevano condannato Gagarin.
Su tutti Brezhnev, per molti il mandante di un omicidio: quello del primo uomo a volare nello spazio.
"Quell'aprile si incendiò,
al cielo mi donai
Gagarin figlio dell'umanità
e la Terra resto giù
più piccola che mai
io la guardai non me lo perdonerò
e l'azzurro si squarciò
le stelle trovai lentiggini di Dio
col mio viso sull'oblò
io forse sognai
e ancora adesso io volo
e lasciavo casa mia
la vodka e i lillà
e il lago che bagnò il bambino Yuri
con il piede lo scansai
bugie e volgarità
calunnie guerre maschere antigas
come un falco mi innalzai
e sul Polo Nord sposai l'eternità
anche l'ombra mi rubò
e solo io restai
e ancora adesso io volo
e ancora adesso io volo..."
(C. Baglioni, Gagarin )
A cura di Paolo Magionami